venerdì 25 gennaio 2013

Profumo e la religione

A sinistra il Ministro Profumo, a destra il Cardinale Bagnasco
In occasione della Festa nazionale di Sel il ministro della Scuola e dell’Università, Francesco Profumo, ha pronunciato le seguenti parole. Nonostante, come direbbe qualcuno, la frase sia da contestualizzare in un discorso e in un ragionamento molto più ampio, le parole del Ministro mi paiono più che giuste e più che ragionevoli.
“Credo che l'insegnamento della religione nelle scuole così come concepito oggi non abbia più molto senso. Probabilmente quell'ora di lezione andrebbe adattata, potrebbe diventare un corso di storia delle religioni o di etica” Conscio dello Stato non del tutto laico in cui è stato chiamato a operare, ha corretto il tiro dopo qualche ora: “Credo che il Paese sia cambiato, nelle scuole ci sono studenti che vengono da culture, religioni e Paesi diversi. Credo che debba cambiare il modo di fare scuola, che debba essere più aperto". "Ci vuole - ha concluso - una revisione dei nostri programmi in questa direzione”.
Bene, permettetemi due parole. Sono totalmente d’accordo con il Ministro. Credo che Profumo abbia completamente ragione, e che riassuma un pensiero condiviso da buona parte degli studenti medi che frequentano, al Liceo come in altre scuole, l’ora di Religione Cattolica.
Inoltre Profumo, per giustificare il ragionamento, ha citato i dati (in continuo aumento) riguardo l’interculuralità e la diversità di origini, etnie, religioni ed esperienze sempre più presenti nella nostra scuola, dati che nemmeno le associazioni cattoliche possono negare o sminuire.
La scuola italiana è anche e soprattutto la scuola dei nuovi italiani. Quelli magari non tutelati da una legge, quelli di cui tanto si parla con frasi del tipo “chi nasce in Italia è italiano”. Che pochi si impegnano a tutelare, ma che ci sono, e sono tanti. E questi nuovi italiani stanno portando nella nostra scuola un contributo multiculturale e multietnico non indifferente. Di cui si deve tenere conto, e dal quale si potrà guadagnare più di quanto noi possiamo pensare.
Ma per guadagnare -come dice Profumo- da queste bellissime opportunità, bisogna essere capaci di innovare, senza paura. E credo che le parole del Ministro siano un grande passo in avanti, verso una scuola di tutti e di tutte, verso una scuola inclusiva e che faccia partire dallo stesso piano e dalla stessa posizione tutti i suoi studenti.
Io faccio Religione, nel Liceo classico che frequento.
La faccio perché ritengo che la Religione, la materia Religione, e l’ora di Religione, se ben sfruttata e insegnata, possa diventare un importantissimo impulso culturale e sociale, all’interno della Scuola pubblica.
Mi spiego. Credo che dalla Religione si possa ricavare tanto. Che dallo studio della Religione, inteso come studio del pensiero teologico, della storia delle religioni, del rapporto (e la sua evoluzione) degli uomini con tutti gli Dèi si possa capire tanto del mondo che ci circonda. E della Filosofia, e della Storia, e dell’Italiano. E perché no delle materie scientifiche. Insomma, un'arma in più per affrontare la nostra Scuola. E una bella possibilità. Ma l’insegnamento della Religione a scuola, per trasformarsi nell’auspicata materia poliedrica e politematica, deve cambiare. Deve cambiare il programma, il metodo. Devono cambiare molte cose. Ma siamo sulla buona strada. E avremo tempo per parlarne.
Si torni a “res ligare” e tutti, e dico tutti, ne trarremo beneficio.

di Federico Diamanti

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lunedì 24 dicembre 2012

Uno stipendio agli studenti

A tutt’oggi gli stati in cui gli studenti universitari fra i 18 e i 25 anni ricevono uno “stipendio” sono diversi. Per esempio nel continente europeo ci sono già la Germania e la Svezia che, in generale, hanno investito molto sul sistema scolastico e continuano a farlo. 
Per poter agevolare la vita ai giovani e per poter dar loro la possibilità di applicarsi al meglio e dedicarsi solo ed esclusivamente allo studio, hanno istituito uno stipendio. Nei due paesi funziona in questo modo: in Germania, ad esempio, vengono versate importanti somme di denaro ai giovani universitari con fondi statali e regionali.
La Svezia mette a disposizione circa 200 euro alla settimana ad ogni studente. Una cosa molto importante è che di questi 200 euro, 68 sono a fondo perduto, mentre il resto sarà poi restituito negli anni.
In Germania invece la cosa è un po’ più complessa. La cifra è inferiore, circa 300 euro al mese, ma la sua erogazione varia in base al reddito e al merito. Inoltre si possono avere altre sovvenzioni statali: si può arrivare ad ottenere anche più di 800 euro dal fondo di finanziamento all’istruzione. La somma, in entrambi i casi, è sostanziosa ma assume un valore ancora più importante sapendo che l’università è completamente gratuita!  
Questi due paesi, forse non a caso, sono fra i pochi a non risentire la crisi economica che sta investendo tutto il mondo. Forse invece che tagliare sempre e comunque sul sistema scuola, il Governo, i Governi, dovrebbero fermarsi, iniziare a guardare a nuove prospettive, ad altri metodi per risolvere tanti problemi, investire sui giovani e finalmente guardare al futuro.

 
di Francesco Calcagno
 
E voi cosa ne pensate?

martedì 4 dicembre 2012

"Questa non è la democrazia"


Vi proponiamo qui di seguito la riflessione di uno studente del Liceo Classico Marco Minghetti:

Domani non metterò piede nella scuola che amo.
Non lo farò perché oggi il confronto è passato da essere un confronto di idee ad un confronto di singoli, con le conseguenti offese di natura personale. Quando si passa alle offese, è chiaro che si tratta di una mancanza di argomenti alternativi. Io ho espresso e ribadito più volte il mio punto di vista. Ora non scenderò più a compromessi con un ristretto gruppo di persone, privo di qualsiasi legittimazione, che mi indichi quando e come esprimere il mio dissenso. Questa non è la democrazia. Perché quando bisogna scegliere se occupare o meno, lo si fa al mattino in assemblea plenaria (orario scolastico), quando l'occupazione è messa in discussione lo si fa alle 15 "e non si discute", ma quando la questione torna certa e si passa a questioni meno centrali ecco che magicamente lo si può fare alle 8 "partecipazione, evidentemente facilitata dal fatto [...], soprattutto, di essere tenuta in orario scolastico.".
Io non voglio più essere preso in giro, tantomeno da persone per cui nutro (nutrivo?) tanto rispetto e un po' di stima.
Ad maiora.
Pietro Fochi

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domenica 2 dicembre 2012

La legalità dell'occupazione

Riportiamo la lettera di un genitore a LaRepubblica del 1/12/2012 nella versione integrale e una replica pubblicata sempre su La Repubblica il 2/12/2012.

1/12/2012 - Gentile preside, gentili insegnanti, ho letto con crescente disappunto prima il comunicato firmato dal preside poi la lettere di alcuni insegnanti (non si quanti e quali perché la lettera non riportava le firme).
Disappunto generato dalla forza con cui vi siete scagliati contro i vostri ragazzi (o almeno parte di loro), proprio quelli che avreste dovuto appoggiare, consigliare e, soprattutto, proteggere. È vostro compito insegnare a lottare per i propri diritti civili, come il diritto allo studio, che non si ottiene solo frequentando la scuola, ma anche chiedendo che sia mantenuto o raggiunto un livello qualitativo elevato. Non credo che esista una forma di protesta che non leda i diritti degli altri: quale diritto allo studio preserva uno sciopero del personale e quale diritto alla cultura mantiene inalterato la rinuncia alle gite scolastiche perpetuata e paventata dagli insegnanti. Una differenza è sicuramente nella legalità, come ha tenuto a precisare così accuratamente il preside; l'accettazione legale, però, non nasce con i diritti naturali dell'uomo, ma è stata conquistata grazie a lotte difficili compiute da altri. Alla fine le forme di protesta si accomunano nell'obiettivo di creare un disagio per far ascoltare la propria voce.
Forse riesco a comprendere, nelle intenzioni e non nella forma, le motivazioni che hanno spinto ad una tale invettiva il preside, preoccupato di proteggere la scuola che dirige. Devo dire che le sue preoccupazioni sono state spazzate via dal comportamento dei ragazzi che hanno dimostrato, nelle azioni compiute in questi due giorni di occupazione, di tenere alla scuola almeno quanto lei. Non consideri questa azione un fallimento dei suoi tentativi di costruire un dialogo con i ragazzi, loro la tengono in grande considerazione e la rispettano anche se in questo caso hanno agito diversamente da quanto da lei consigliato.
Invece non riesco a comprendere la presa di posizione degli insegnanti. Quando è stato il loro momento di protestare, i loro alunni non li hanno tacciati di essere violenti o poco democratici negando loro il diritto allo studio; li hanno appoggiati nella loro lotta perché hanno ritenuto che le motivazioni erano comuni: una scuola migliore è un bene per entrambi. E invece, quando è stato il momento di contraccambiare, gli insegnanti hanno prontamente voltato le spalle, più prodighi a ricorrere alle minacce che al dialogo.
Eppure sarebbero dovuti essere proprio loro, essendo i più vicini ai ragazzi, a comprenderli ed appoggiarli, come ho imparato da mio padre, anch'egli insegnante anche se di un'altra generazione. Avete ripetutamente utilizzato la parole minoranza, assoluta minoranza, per giustificare i termini atto violento e inammissibile. Mi sembra però che nelle assemblee svolte, le decisioni siano state prese con la maggioranza dei partecipanti. Se il numero di partecipanti all'occupazione è risultato esiguo rispetto ai votanti che l'hanno decisa è perché si è messa in atto la forma democratica di rappresentatività. Se, invece, il riferimento fosse al fatto che alle assemblee non fosse presente la totalità degli alunni, allora la critica dovrebbe essere mossa a quelli che le hanno disertate. Il 5 in condotta prospettato ai manifestanti dovrebbe essere indirizzato, forse, a quelli che hanno preferito disertare questi momento di confronto, perché il comportamento civile (nel senso sociale del termine) si basa proprio sulla partecipazione e sul confronto.
Vorrei che la scuola insegnasse a mio figlio ad essere una persona civile, a diventare un cittadino in grado di rendere la nostra società migliore. Ritengo che la partecipazione sia alla base della coscienza civile. Quello che ho visto in mio figlio in questi giorni è stato proprio il desiderio di ascoltare, discutere, condividere un ideale e un obbiettivo. Ritengo che dobbiate essere orgogliosi di questi giovani, i quali hanno deciso che la loro protesta dovesse essere basata sulla partecipazione e sulla costruzione di un futuro migliore per loro e anche per voi.
Io lo sono.
Roberto Melino

2/12/2012 - La critica rivolta dal sig. Melino al preside e agli insegnanti del Fermi  per il comportamento tenuto a seguito dell'occupazione del liceo  mette in secondo piano l'aspetto  fondamentale della vicenda. E' vero che tutte le forme di protesta ledono diritti altrui, ma gli scioperi e i cortei autorizzati sono atti legittimi, mentre l'occupazione e l'interruzione di pubblico servizio costituiscono comportamenti penalmente rilevanti,    e nessuna maggioranza (anche qualora si sia effettivamente formata, in considerazione del numero dei partecipanti al "voto") può farli diventare leciti.
I comunicati  del dirigente e dei docenti  contenevano, più che minacce, l'annunciazione di un atto obbligatorio per i pubblici ufficiali, quali essi sono, ovvero la denuncia di reati di cui abbiano notizia nell'esercizio delle loro funzioni.
Se vogliamo aiutare i ragazzi  a diventare bravi cittadini dobbiamo  innanzitutto insegnare loro a rispettare la legge.
Silvia Marzocchi

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mercoledì 28 novembre 2012

Santiago Carrillo, un baluardo della democrazia

Santiago Carrillo
Voglio rendere omaggio a una delle più grandi menti combattenti politiche del secolo scorso. Santiago Carrillo, morto nella sua casa a Madrid il 18 Settembre scorso.
E vi chiederete voi: chi è costui?
Credo che una seppur breve biografia possa farvi comprendere perché oggi io su questi fogli gli dico grazie.
Santiago Carrillo nasce nel 1915, in Spagna. A tredici anni si iscrive alla giovanile del Partito Socialista Spagnolo, di cui diventò segretario generale nel 1934. Nel 1960 diviene, in un momento tragico della nazione, segretario generale del PCE al posto della “pasionaria” Dolores Ibàrruri. La sua politica da segretario segue una linea innovativa e progressista. Aderisce tra gli altri assieme a Enrico Berlinguer all’Eurocomunismo, dà un freno alle derive marxiste del Partito e si oppone con vigore allo stalinismo che imperversava in quel periodo in Europa.
Espulso dal PCE (in modo ingrato, ricorderà anch’egli), fonda un Partito dei lavoratori che confluirà poi nel PSOE. Muore a Madrid il 18 settembre del 2012, dopo una vita intera dedicata alla politica e alla cosa pubblica.
Egli infatti non è stato soltanto un buon funzionario di partito, un bravo segretario o un buon parlamentare.
E’ stato qualcosa di più.
Un baluardo della democrazia e delle libertà in periodi tragici della storia della Spagna, dalla guerra civile al franchismo, e anche un grandissimo moderatore politico. Con le sue politiche moderate e riformiste ha favorito il processo di democratizzazione della Spagna post dittatura, e con un impegno costante ha lottato per la libertà della sua nazione.
Un padre della patria e un simbolo della sinistra che sa innovare e non tende al conservatorismo. Uno che aveva capito molte cose, prima di tutti. Forse misconosciuto o non del tutto compreso, ma accade a molti di quelli come lui.
E io, vi chiederete voi lettori, come mi sono informato su Santiago Carrillo? Grazie a un fantastico libro, “Anatomia di un istante”, di Javier Cercas, che racconta una storia, a parer mio emblematica, riguardo questo personaggio. Nel 1981, profittando di una condizione traballante della democrazia iberica, un gruppo di soldati tentò un colpo di stato occupando il parlamento. In pochi istanti il parlamento venne occupato, molti deputati scapparono, altri si nascosero. Solo Santiago Carrillo rimase in piedi, impassibile, accendendosi un sigaro e difendendo sino alla fine la democrazia per cui durante la sua vita lottò. La scena rimase negli annali, e il colpo di stato non avvenne grazie anche a lui.
Insomma, per chi si accinge alla Politica quest’uomo dovrebbe essere un esempio. Un esempio di valori, di coerenza, d’onestà e di impegno.
80 anni dedicati alla politica sono tanti, e non possono essere cancellati

di Federico Diamanti